Cosa ci impedisce di essere pienamente noi stessi nel lavoro, di crescere, di divertirci portando valore? Cosa ci spinge a indossare maschere, a interpretare parti, rafforzando inavvertitamente stereotipi che soffocano l’umanità del nostro tempo lavorativo? Cosa ostacola le imprese nel lasciare spazio all’autonomia delle persone, al rispetto reciproco e all’evoluzione dei talenti e delle inclinazioni individuali? Cosa mina la connessione fra business case e fairness case, fra ciò che conviene fare e ciò che è giusto fare? Queste domande guidano il racconto che l’Autrice fa di una parte cospicua della sua «ricetta di vita», senza la pretesa di stabilire primati o regole, ma facendo valere l’importanza di un vissuto che le ha insegnato a privarsi degli alibi. A cercare e trovare persone in grado di condividere un’idea e una direzione. A scavallare una cultura del controllo per affermarne una dell’autonomia, con un occhio fisso sul mercato che entra sempre più nell’organizzazione, riplasmandola continuamente. A nutrire e diffondere la leadership, trasmutando l’azienda in piattaforma di diverse – eppure allineate – imprenditorialità e ancorandola al sogno comune di un’innovazione aperta da abilitare e facilitare. Autentico, essenziale, ruvido, questo libro invita a prendere l’iniziativa, modellando il presente sulla «braveship» che lo titola: un mix di coraggio e «sana follia», responsabilità e autonomia, rigore e creatività che fa tracimare l’audacia oltre la «semplice» leadership.