Egea

 

Nel furioso mondo contemporaneo l’Italia pare un vaso di coccio. Il libro di Paolo Manfredi ci spiega perché non dobbiamo rassegnarci al declino ma costruire un’economia su misura del nostro territorio: circolare, umana, centrata sulle competenze e votata all’innovazione

 



Intelligenza artificiale, grandi dimissioni, riscaldamento globale, crisi geopolitiche e turbolenze finanziarie: nel furioso mondo contemporaneo, l’Italia rischia di essere un vaso di coccio. O, se preferite, una barca troppo piccola e troppo vecchia, zavorrata da problemi mai risolti e da nuovi fardelli, il cui peso sembra destinato ad aumentare. Il richiamo alle eccellenze, che per lungo tempo ha coperto i problemi, non basta più: partecipano sempre meno delle sorti collettive del Paese e una comunità sempre più anziana e affaticata stenta a produrne di nuove. Cosa fare, quindi? Secondo Paolo Manfredi, oggi “L’eccellenza non basta”: quella che serve all’Italia è un’economiapaziente” in grado di riannodare il legame tra centro e province, tra innovazione globale e la tradizione culturale e manifatturiera che, pur tra mille fatiche, ancora permea il nostro territorio. Nel segno di competenze rinnovate.

 

“L’Italia è un Paese affaticato, un tessuto un po’ liso, puntinato di meraviglia. Non certo l’unico Paese a versare in una condizione poco brillante nell’era della crisi permanente, certamente però il principale dell’Occidente a dare da più di trent’anni la solida impressione di avere il futuro alle spalle”.

 

Impegnato da oltre vent’anni sul fronte del rapporto tra digitale, sistemi territoriali e Pmi, Manfredi è consulente per la trasformazione digitale e responsabile del Progetto Speciale PNRR di Confartigianato Imprese. Nel suo nuovo libro cerca di destreggiarsi tra le due trappole in cui spesso cade l’opinione pubblica: il “millenarismo” da fine dei tempi imminente e il suo opposto, quella (talvolta pigra, talvolta tendenziosa) retorica dell’“andrà tutto bene”, spesso accompagnata da uno storytelling che attraverso la celebrazione delle eccellenze sembra voler nascondere la polvere sotto al tappeto.


Nonostante i suoi innegabili punti di forza, infatti, oggi l’Italia appare come un Paese sempre più vecchio, con pochi ragazzi mal valorizzati da un’istruzione in affanno, sempre più dipendente dalla rendita di posizione di quello che si può ancora vendere. L’esatto contrario, insomma, del Paese che ha fatto fortuna e creato marchi di eccellenza, che si sono progressivamente scollati dal milieu territoriale, culturale e distrettuale che li aveva partoriti, magari rimanendo al loro interno ma guardando sempre più fuori che dentro. Un fenomeno, quest’ultimo, che non riguarda più soltanto le aziende ma anche famiglie, professionisti, studenti. O interi territori.


D’altronde, scrive Manfredi, “l’economia e la società furiose vincono per manifesta superiorità delle forze in campo. La rotazione terrestre nell’Occidente globalizzato va da tempo in direzione della marginalizzazione delle esperienze territoriali, imprenditoriali e sociali, fuori dal mainstream furioso, fatto di cose grandi, tutte uguali e abbastanza neutre da omologare gusti e consumi”. E, con l’avvento dell’era dell’intelligenza artificiale, la situazione rischia di peggiorare.


Di fronte a uno scenario tanto complesso, l’autore individua due possibili scenari. Il Piano A – dove la parola piano non si intende in termini di programma consapevole, quanto di superficie inclinata sulla quale le cose scorrono per inerzia – è lasciare che le eccellenze prosperino senza curarsi del resto (territori, persone, imprese) destinato a deperire.


L’alternativa – ma anche la scommessa al centro del saggio – è lavorare al Piano B, costruendo e rafforzando un’economia paziente, circolare e basata su innovazione, competenze rinnovate, lavoro e biodiversità, che organizzi e dia forza a tutte quelle energie, oggi disperse e sprecate, di artigiani, imprenditori, sindaci, cooperatori, contadini, comunità, e semplici cittadini che tengono insieme – e in vita – il tessuto socioeconomico italiano, per disegnare un Paese più inclusivo, innovativo, proiettato al futuro.


Secondo Manfredi, insomma, “Bisogna tornare a studiare dati, processi, storie e metodi, senza accontentarsi della scorciatoia dello storytelling e dell’eccellenza rassicurante, per capire che cosa c’è dentro la scatola. Comprendere sperimentando che cosa funziona e che cosa no, nei nostri territori della provincia, nel sistema della formazione e gestione delle competenze, nella competitività dei distretti industriali, nell’allocazione del lavoro e nel sistema dell’innovazione”.
L’agenda lascia poco spazio di interpretazione sulle priorità: gestire la bomba demografica e la desertificazione dei territori della provincia, senza perdere terreno rispetto alle sfide e opportunità della transizione digitale e della transizione sostenibile. Avendo come stella polare per orientarsi nel cambiamento il lavoro, nei suoi molteplici valori e significati: portatore di benessere, di libertà e di senso, attrattore sui territori, glutine della coesione sociale, determinante delle scelte individuali con ricadute collettive”.



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