Egea

Docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano, Maurizio Ambrosini cerca di fare chiarezza, dati alla mano, su uno dei temi più divisivi del nostro tempo, spiegando chi sono i rifugiati, chi davvero li accoglie. E, non meno importante, sfatando il mito della presunta “invasione” in atto


Siamo davvero “sotto assedio”? A guardare le immagini degli sbarchi che periodicamente approdano sugli schermi dei nostri dispositivi elettronici o ad ascoltare le dichiarazioni di una politica sempre più polarizzata sull’argomento, sembrerebbe una domanda retorica. E invece… Invece la prospettiva cambia se si osserva il fenomeno attraverso la lente dei dati: considerando il rapporto tra rifugiati e abitanti, ad esempio, l’Italia figura sotto la media Ue. Che a sua volta non può nemmeno avvicinarsi al numero di richiedenti asilo accolti dai Paesi del Sud del mondo. Per cercare di fare chiarezza su uno dei temi più complessi del nostro tempo, Maurizio Ambrosini – docente di Sociologia delle migrazioni all’Università Statale di Milano – ha racchiuso numeri, fondamentali cenni storici, normative e le più recenti iniziative della società civile all’interno di un libro dal titolo emblematico: “Stato d’assedio – Perché la paura dei rifugiati ci sta rendendo peggiori”, edito da Egea.


È difficile trovare nel dibattito pubblico una questione più divisiva dell’accoglienza delle persone in cerca di asilo. Il tema compatta la destra su posizioni sempre più rigide di chiusura e scompagina il fronte di sinistra tra distinguo e sfumature. Intanto la questione resta mal compresa e trattata in modo approssimativo, a cominciare dal termine con cui si fa riferimento a coloro che – loro malgrado – si trovano al centro della discussione: quei “migranti” tra cui sarebbe opportuno distinguere tra rifugiati, richiedenti asilo, immigrati e profughi, come Ambrosini ci consente di fare illustrandoci le reciproche differenze.


È con i numeri, tuttavia, che l’autore cerca di curare la sindrome da stato d’assedio che sembra aleggiare su molti Paesi occidentali, Italia in testa.


Secondo l’UNHCR, già a fine 2021 il numero dei rifugiati nel mondo aveva raggiunto il livello più alto da quando l’ONU raccoglie sistematicamente i dati sul fenomeno: 89,3 milioni. Con l’attacco all’Ucraina e altri conflitti, come quello che dilania l’Etiopia, la cifra ha raggiunto a fine 2022 la quota mai toccata prima (da quando si raccolgono queste statistiche) di 108,4 milioni di individui.
Ebbene, circa tre su quattro di loro sono accolti in Paesi intermedi (con Turchia e Colombia) o in via di sviluppo, non di rado poverissimi. A fine 2021, l’Ue accoglieva meno del 10% dei rifugiati del mondo; dopo la crisi ucraina, il numero è cresciuto ma la stima potrebbe attestarsi sul 12-13%.


E l’Italia? La percezione diffusa nel nostro Paese è che sia sovraccarica di persone in cerca di asilo, lasciata sola da un’Europa sorda e indifferente. Alla base c’è un’altra convinzione: che i rifugiati (o addirittura i “migranti”) arrivino via mare, in barca, con rari sguardi alla rotta balcanica. Anche in questo caso le cifre ci presentano una realtà diversa. In realtà, negli ultimi dieci anni (2013-2022) sono arrivate dal mare circa 900.000 persone. Se fossero rimaste tutte in Italia, il che non è avvenuto, si tratterebbe di circa il 15% dell’immigrazione complessiva. Questa (5,3 milioni di residenti regolari, più 0,4-0,6 milioni di soggiornanti irregolari stimati) in realtà è prevalentemente femminile, e per circa la metà europea, senza contare cinesi, filippini, latino-americani, che tuttavia non arrivano in barca dalle sponde meridionali del Mediterraneo.


Concentrandosi solo sulle richieste di asilo, secondo i dati Eurostat nel 2022 l’Italia non risultava al primo posto dell’Ue ma al quarto, con 77.200 domande rispetto alle 217.700 della Germania, le 137.500 della Francia e le 116.100 della Spagna. Anche considerando i dati riferiti al rapporto tra rifugiati e abitanti, il nostro Paese figura sotto la media Ue, con 3,5 rifugiati su 1.000 abitanti. Questo significa che se andasse in porto il disegno di una redistribuzione più equilibrata dei rifugiati all’interno dell’Unione, il nostro Paese rischierebbe di accoglierne di più e non di meno.


Partendo da questi (e da molti altri) numeri, Ambrosini analizza da un lato le attuali politiche adottate nei confronti dei rifugiati (contenimento, gestione, stentata accoglienza), approfondendo il tema cruciale dell’integrazione, in particolare nel farraginoso sistema italiano. Dall’altro, si sofferma sulle risposte di solidarietà verso i rifugiati provenienti dalla società civile e dal mondo del volontariato e delle Ong – concentrandosi sui progetti, come le sponsorizzazioni private e i corridoi umanitari, che offrono segnali di speranza per il futuro – per arrivare infine a delineare una serie di proposte utili a migliorare la governance dell’asilo.


Il punto di partenza di un disegno propositivo”, scrive Ambrosini, “non può che fare riferimento a quanto è avvenuto in Europa da oltre un anno a questa parte: il grande slancio di solidarietà verso i profughi ucraini. Questa apertura, suscitata dall’alto da un’inedita liberalizzazione degli accessi da parte delle istituzioni dell’Ue, ma anche accompagnata dal basso da una diffusa mobilitazione di associazioni e semplici cittadini, dovrebbe aver dissipato un alibi: che il problema dell’accoglienza consista nei numeri eccessivi dei richiedenti, nelle risorse necessarie, nella necessità di circoscrivere l’impegno umanitario per salvaguardare la coesione interna ed evitare scontri tra poveri e poverissimi. Il buon esempio proposto dall’Unione europea, dai governi nazionali e dai loro cittadini dovrebbe aiutare a guardare con più serenità agli obblighi di accoglienza umanitaria”.


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