Egea

 

Nel suo nuovo saggio, l’astrofisica Simonetta Di Pippo ci invita a guardare al nostro satellite (e allo spazio) non solo come occasione di sviluppo economico o come orizzonte per espandere la nostra conoscenza, ma come il terreno ideale su cui tentare nuovi esercizi di diplomazia
 

Sogno irraggiungibile o specchio in cui riflettere speranze e miserie dell’esistenza terrestre, meta agognata della prima corsa allo spazio e infine palestra per allenarsi a diventare una specie multiplanetaria. Nel corso della storia, la Luna è stata per l’uomo molte cose. Ma se ora diventasse anche un laboratorio per ricercare la pace? Mentre la Terra viene scossa da turbolenze sempre più forti e lo spazio si appresta a diventare la nuova arena in cui mostrare i muscoli della (astro)politica, il nostro satellite ci offre una luce di speranza per portare la cooperazione internazionale in una dimensione inedita, che non si limiti a replicare tra le stelle i meccanismi del Pianeta Blu. In “Luna laboratorio di pace”, un nuovo saggio edito da Egea, l’astrofisica Simonetta Di Pippo spiega perché dovremmo guardare allo spazio non solo come occasione di sviluppo economico o come orizzonte per espandere la nostra conoscenza, ma come il terreno ideale su cui tentare nuovi esercizi di diplomazia.

Dal 1958 a oggi sono state effettuate oltre 100 missioni lunari. Molta strada è stata percorsa dal 17 agosto di quell’anno, quando l’orbiter Pioneer 03 esplose dopo appena 77 secondi di viaggio, tanto che nel 1972 erano già stati 12 gli astronauti – tutti statunitensi – ad avere messo piede sul nostro satellite. Una fase di grande fermento – con 80 missioni condotte da Usa e Urss – conclusa bruscamente nel 1976: dopo la missione Luna-24, con cui i sovietici portarono sulla Terra 170 grammi di campioni da Mare Crisium, si chiuse un’epoca. Si dovranno attendere gli anni Novanta (e una sonda giapponese…) per rimettere in moto la macchina dell’esplorazione lunare, i cui ingranaggi – oggi – sembrano tornati a muoversi come ai tempi della Guerra Fredda.

Dall’India diventata la quarta nazione al mondo ad approdare sul suolo lunare alla Federazione Russa che ha fallito di un soffio l’atterraggio con Luna-25; dalla Cina che con Chang’e 5 ha riportato a Terra campioni rocciosi alla ricerca di preziosi minerali sconosciuti agli Stati Uniti che ripartono con successo con la prima delle missioni Artemis, senza dimenticare una sonda privata giapponese – con a bordo il primo rover degli Emirati Arabi – che non è riuscita ad allunare in modo controllato: negli anni Venti del nuovo millennio la corsa alla Luna è ufficialmente ricominciata. Con rinnovato vigore e, soprattutto, nuove ambizioni.

Da un lato, la possibilità di costruire colonie che permettano all’uomo di addestrarsi a un ipotetico futuro lontano dal pianeta Terra (con prossima fermata a Marte); dall’altro, l’abbondanza di risorse come minerali (e terre rare), ghiaccio d’acqua e fonti di energia, utilizzabili in loco o – in un futuro neanche troppo lontano – trasportabili sul nostro pianeta. In quest’ottica, la nuova corsa alla Luna ha il suo epicentro nel Polo Sud del satellite e in particolare nell’area del cratere Shackleton, particolarmente adatta ai fini sopracitati. Il rischio, tuttavia, è che questa nuova era di esplorazioni assomigli più alla conquista del Far West che a una collaborazione fondata sui principi di cooperazione, interoperabilità e interdipendenza.

Certo, i trattati – dall’Outer Space Treaty al Moon Agreement (quest’ultimo firmato da soli 17 Paesi…) – esistono, ma nello scenario attuale a farla da padrone sembrano essere nuovi accordi multilaterali, facenti capo a Stati Uniti e Cina. Da un lato i primi e il programma Artemis, intorno al quale gravitano i principali Paesi del mondo occidentale (Italia compresa) e i loro alleati; dall’altro l’ILRS, che tra le sue file annovera non solo il Dragone ma anche la Russia (insieme ad Azerbaijan, Venezuela e Sudafrica). Due schieramenti che hanno obiettivi simili ma, come si può facilmente immaginare, approcci – e idealimolto diversi. Senza considerare la variabile degli operatori privati – da SpaceX di Elon Musk e Blue Origin di Jeff Bezos – le cui capacità di ricerca e investimento hanno raggiunto livelli immaginabili fino a qualche decennio fa.

Insomma, le questioni geopolitiche (ed economiche) terrestri si potrebbero semplicemente “trasferire” sulla Luna. Oppure – ed è l’auspicio di Di Pippo – si potrebbero attuare altri meccanismi più inclusivi e meno divisivi. Nel suo libro, l’astrofisica ricorda le parole pronunciate da John Fitzgerald Kennedy davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, nel 1963: «Sicuramente dovremmo valutare se gli scienziati e gli astronauti dei nostri due Paesi, anzi di tutto il mondo, non possano lavorare insieme alla conquista dello spazio, inviando un giorno, in questo decennio, sulla Luna non i rappresentanti di una singola nazione, ma i rappresentanti di tutti i Paesi».

Sessant’anni”, scrive Di Pippo, “sono passati e non ci siamo ancora riusciti, anche se nell’ultimo periodo le cose si muovono rapidamente. Si tratterebbe di accordarsi a livello generale su alcuni principi guida, condivisi e validi per l’intera umanità. L’esplorazione lunare dovrà essere il risultato di uno sforzo congiunto internazionale dell’umanità intera. Certamente, occorre lavorare affinché questo obiettivo venga raggiunto. Cementerebbe i rapporti e farebbe sfumare le divergenze”.
Dallo spazio, d’altronde, sono già giunti segnali incoraggianti: dalla collaborazione (stra)ordinaria dietro alla Stazione Spaziale Internazionale alla cooperazione tra Usa e Russia per il salvataggio di astronauti in pericolo, nei momenti peggiori della Guerra Fredda e, tornando all’oggi, del conflitto in Ucraina.

Per superare gli ostacoli sulla via di un’esplorazione lunare – e spaziale – che porti benefici a tutta l’umanità, Di Pippo individua tre linee guida fondamentali da seguire: “Assicurare l’interoperabilità tra sistemi che oggi e sempre di più saranno sia pubblici sia privati; standardizzare i sistemi di acquisizione e soprattutto di utilizzo dei dati ottenuti da strumentazioni e infrastrutture spaziali; affrontare il futuro dell’esplorazione e la creazione dei mercati associati con riferimento alla Luna, all’internet del sistema solare, a Marte e oltre, con un approccio cooperativo e inclusivo. Perché, quando si è di fronte a una sfida globale, bisogna rispondere con una soluzione globale”.



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