Egea
L'occhio della tigre

 

Presidente e fondatore del Club degli Investitori, Giancarlo Rocchietti condivide in un libro la sua esperienza al fianco dei più brillanti founder italiani, tra consigli per lanciare (e fare crescere) la propria startup e proposte per rendere l’Italia un Paese a misura di innovazione. E di futuro


Lo chiamano “L’occhio della tigre”. È così che business angel e venture capitalist si riferiscono a quella sfumatura impercettibile che si accende nello sguardo di un imprenditore quando si trova ad affrontare il percorso che dovrà portare la sua startup al successo. Un misto di determinazione, ambizione, coraggio e visione indispensabile – insieme a un po’ di fortuna – per superare le tante difficoltà che gli si pareranno davanti nel corso della strada. Presidente e fondatore del Club degli Investitori, la più importante community di business angel italiani nel mondo, Giancarlo Rocchietti ha incontrato migliaia di aspiranti “founder” nel corso della sua carriera. E nel suo libro condivide tutta l’esperienza e la sensibilità maturate negli anni per metterle al servizio dei giovani sognatori chiamati a fare dell’Italia una vera e propria startup nation.

Fondato nel 2008, il Club degli Investitori ha investito oltre 60 milioni di euro in più di 60 startup che hanno poi raccolto complessivamente oltre 2 miliardi di euro e generato più di 6.500 posti di lavoro diretti. Nel saggio, Rocchietti racconta il percorso che lo portò a dare vita a questo network iniziando dalla sua esperienza come “startupper” ante litteram: erano gli anni Ottanta, infatti, quando a Torino fondò insieme al fratello Roberto la “Euphon”, impresa attiva nel settore dell’entertainment che seppe cavalcare l’onda dell’innovazione tecnologica nelle videocomunicazioni (e la crescita delle televisioni private) fino ad arrivare alla quotazione in Borsa, nel 2000, e alla successiva “exit”, con la cessione a un fondo di private equity nel 2004.

Grazie a un’esperienza da entrambi i lati della “barricata", insomma, Rocchietti sa di cosa parla non solo quando si riferisce ai founder e alle loro “creature”, ma anche a chi deve decidere di investire nei loro progetti. Basandosi sul suo percorso personale e sui confronti con alcuni degli oltre duemila startupper incontrati in carriera, nel libro condivide testimonianze, consigli operativi, motivazioni e skill necessarie per creare una startup e “portare a bordo” gli investitori. Agli imprenditori del nuovo millennio – veloci, pronti a cambiare il proprio modello di business, attenti alle sfide globali e capaci di creare network di partner e team che rispettino la diversità di un mondo sempre più aperto – Rocchietti elargisce preziosi consigli sotto forma di agili liste: dalle dieci cose da fare per un fundraising di successo alle dieci domande con cui incalza un founder a un “primo appuntamento” (con relative risposte) passando per i cinque consigli per puntare tanto in alto da cercare di volare come un… unicorno.

Lo sguardo di Rocchietti si sofferma anche ai possibili sviluppi futuri dei mercati globali, individuando i possibili trend su cui investire: non solo i campi dell’high e del deep tech – dai computer quantistici all’intelligenza artificiale, dalle nanotecnologie alla robotica – ma anche le scienze della vita, l’economia dello spazio, la mobilità e il greentech. Forse è per questo che, nel profilo dei founder di domani – e dei membri dei loro team – non vede solo i “canonici” ingegneri del software, ma sempre più fisici, matematici, chimici, biologi e perfino i filosofi dell’innovazione.

A loro il compito di traghettare il Paese verso il futuro. Oggi l’Italia conta oltre 15.000 startup con circa 40.000 occupati; 237 tra incubatori e acceleratori; 50 fondi di venture capital e circa 2.000 business angel. Nel 2022 è stata raggiunta per la prima volta la soglia dei due miliardi di euro di investimenti (+67,3% rispetto al dato del 2021). Numeri incoraggianti, ma il confronto con gli altri Paesi fa emergere i limiti del nostro ecosistema: l’Italia non compare infatti tra le prime dieci nazioni che investono in startup. E, restando in Europa, i capitali in Spagna, Francia, Germania e UK sono stati negli ultimi dieci anni da tre a dieci volte superiori.

“Spesso", spiega Rocchietti, "mi viene chiesto se l’Italia diventerà una startup nation, cioè un Paese in cui le startup rappresentano uno dei primissimi settori in termini di creazione di ricchezza e occupazione. La mia risposta è netta: no. Lo sono Israele e la Silicon Valley e forse lo diverranno la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, ma il nostro gap è attualmente troppo ampio per essere colmato. Quello di cui sono però convinto è che possiamo e dobbiamo riuscire a recuperare le posizioni nel ranking europeo e mondiale e fare sì che le startup contribuiscano in modo significativo alla crescita del Paese”.

Per farcela, Rocchietti condivide dieci proposte che spaziano dalla politica alla cultura, dall’educazione all’economia. Tra queste, la creazione di un’Agenzia nazionale per le startup il convogliare la ricchezza privata verso gli investimenti in startup, l’introduzione di un corso di Entrepreneurship in tutte le università e il sostegno al ritorno di ricercatori e talenti imprenditoriali in Italia dall’estero.

"Dobbiamo compiere in fretta, e bene, alcuni importanti cambiamenti nelle politiche per l’innovazione, nella cultura imprenditoriale, nel sistema normativo e nella riorganizzazione dell’attuale ecosistema dell’innovazione e delle startup. E, soprattutto, bisogna farlo tutti insieme e in modo coordinato”.


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