Egea


 

Il libro di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa racconta la profonda trasformazione del settore verso modelli più sostenibili ed etici, valorizzando i legami con il territorio e i consumatori, le potenzialità dell’economia circolare e le nuove tecnologie 
 

Nonostante concetti come sostenibilità ed etica siano oggi sulla cresta dell’onda, il settore moda resta tra i più inquinanti del pianeta, con ampi margini di miglioramento nel percorso verso la riduzione delle emissioni di gas serra a cui puntano l’accordo di Parigi e l’Agenda 2030 dell’Onu. Non solo: anche lo sfruttamento del lavoro rappresenta una sfida significativa in un settore in cui filiere produttive opache e complesse rendono difficile capire come e dove i nostri vestiti vengono realizzati. Eppure, al di là degli slogan e delle buone intenzioni, qualcosa sta cambiando davvero, e in meglio. Lo certifica – con l’ausilio di dati e casi concreti – la nuova edizione del libro “L’impresa moda responsabile” di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa
 

Nel 2013 gli autori avevano presentato i primi progetti ed esperienze di alcune aziende responsabili: a distanza di quasi un decennio, condividono il risultato di un attento monitoraggio dell’evoluzione delle catene del valore sostenibili e della rapida trasformazione verso i modelli circolari. Nella parte finale del libro, infatti, sono illustrati i risultati del Monitor for Circular Fashion SDA Bocconi School of Management (powered by Enel X) insieme a una proposta di agenda manageriale per la moda circolare e al racconto delle buone pratiche delle imprese della community. 
 

Studi recenti mostrano il crescente impegno degli attori del settore moda nel percorso di circolarità: le strategie sono pianificate, ma l’implementazione è ancora debole. Nel 2017, a livello globale, solo il 20% dei rifiuti di abbigliamento è stato riutilizzato o riciclato mentre il restante 80% ‒ equivalente a ottantasette miliardi di euro di valore del materiale su base annua ‒ è finito in discarica o è stato incenerito. Solo l’1% del materiale utilizzato per produrre capi di abbigliamento è stato riciclato in un processo a circuito chiuso. 

Tuttavia, i paradigmi del consumo e i modelli di business stanno cambiando in maniera più rapida rispetto allo scorso decennio, innescando trasformazioni profonde ulteriormente accelerate dall’impatto della pandemia sulle catene del valore. Questa rivoluzione riguarda sia le dinamiche di produzione e distribuzione sia l’atteggiamento del consumatore – sempre più attento all’acquisto responsabile, rispettoso dell’ambiente e della sostenibilità economica, ecologica ed etica della filiera. 
 

Nemmeno le istituzioni restano a guardare: il 30 marzo 2022 la Commissione europea ha presentato – tra il pacchetto di proposte sul Green Deal volte a rendere i prodotti sostenibili – l’attesa «Strategia per i prodotti tessili sostenibili e circolari» con l’obiettivo di rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, volta ad affrontare importanti sfide per il settore moda quali il fast fashion, i rifiuti e la distruzione dei tessili invenduti e a garantire che la loro produzione avvenga nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.  
 

Nel processo verso la realizzazione di prodotti sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale, un ruolo fondamentale può essere giocato dalla tecnologia: piattaforme online, dispositivi intelligenti, intelligenza artificiale, internet delle cose e blockchain potrebbero essere adottati per sostenere la transizione verso un’economia circolare e per raggiungere una maggiore trasparenza nei confronti dei consumatori, dal momento che queste soluzioni possono essere utilizzate per informarli, educarli e incoraggiarli a optare per scelte più sostenibili. In quest’ottica la proposta di un passaporto digitale dei prodotti potrebbe rappresentare un efficace strumento per condividere le informazioni sui componenti e sui materiali, comprese le sostanze chimiche pericolose utilizzate, e specificare come il prodotto possa essere smontato e riciclato in modo sicuro alla fine della sua vita. 
 

Dalla dimensione digitale a quella artigianale, dal territorio all’impegno globale, la strada verso un’impresa moda (davvero) responsabile risulta insomma ben più complessa di quanto comunicazioni all’insegna del greenwashing possano far credere. Ma, sottolineano Rinaldi e Testa, l’unica scelta possibile per il settore è quella di percorrerla: “L’equilibrio di lungo termine nell’impresa può essere raggiunto solo se si integrano gli obiettivi economici di breve termine, irrinunciabili per la remunerazione di capitale e lavoro, con altri obiettivi non economici che fanno riferimento al rapporto con l’ambiente, la società, la cultura, i media, le istituzioni, la legislazione e soprattutto la dimensione dei valori e dell’etica. Per poter continuare a competere,” concludono gli autori, “le aziende dovranno adottare un nuovo modello manageriale e imprenditoriale che implichi una prospettiva di medio-lungo termine e prenda in forte considerazione tutte le parti interessate ponendo i valori, l’etica e l’innovazione responsabile al centro”. 


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