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Francesco Limone invita le imprese (e chi ne fa parte) a riconsiderare le convinzioni che ne fondano l’operato e l’organizzazione. Perché solo vedendo con occhi nuovi il contesto, i talenti, il progresso e i rapporti umani possiamo dare vita a un’altra idea di comunità, che non si limiti a inseguire una sostenibilità astratta, ma parta dall’attenzione alla vita che pulsa dentro le aziende stesse. 


Il management scientifico, nato durante la seconda rivoluzione industriale, vedeva i lavoratori come ingranaggi di una macchina, con il lavoro percepito come qualcosa di separato dalla vita. In quell’era, le aziende affrontavano problemi tecnici risolvibili attraverso esperti e competenze specifiche. Oggi viviamo in un contesto B.A.N.I.: fragile, ansioso, non lineare e incomprensibile. L’incertezza e la complessità richiedono un approccio diverso, dove ciascuno conta e contribuisce, conciliando obiettivi aziendali con una visione antropologica dell’impresa.

In questo contesto, il nuovo libro di Francesco Limone – docente di Leadership e Communityship alla 24ORE Business School, editorialista per Fortune Italia e LinkedIn top voice sul tema del rapporto vita-lavoro – propone un «mind-shift» verso “Il lato umano dell’impresa”. Una riconsiderazione profonda delle convinzioni che hanno fondato il lavoro e le organizzazioni, che ci invita a vedere con occhi nuovi il contesto, i talenti, il progresso e i rapporti umani, nel segno di una vera idea di comunità. Al centro della quale deve essere posta una concezione del lavoro più completa di quella attuale: non solo uno strumento per guadagnare, ma un'opportunità di realizzazione personale e contributo a un bene più ampio.
"Il lavoro, prima ancora che un diritto, è un bisogno umano fondamentale”, scrive Limone. “È il bisogno che ogni persona avverte di concorrere a trasformare la realtà di cui è parte, edificando così se stessa. Riconoscere che quello del lavoro è un bisogno fondamentale è affermazione più forte che dire che esso è un diritto. Il lavoro umano possiede due dimensioni: acquisitiva ed espressiva. La prima indica che per mezzo del lavoro la persona acquisisce il potere d'acquisto per provvedere alle proprie necessità. La seconda, che attraverso il lavoro la persona realizza il proprio potenziale di vita, sviluppando i talenti ricevuti.

Quando il lavoro non è più espressivo della persona, perché non comprende più il senso di ciò che sta facendo, diventa servitù. L'agire diventa sempre più transitivo e la persona può essere sostituita da una macchina quando ciò risultasse più vantaggioso. Occorre dunque vigilare perché lavoro giusto e lavoro decente non vengano mai disgiunti se si vuole andare oltre l'idea sfortunata secondo cui il lavoro umano è una merce, per la quale esiste un apposito mercato."

Nel libro, Limone ci invita a superare una volta per tutte il modello fordista e taylorista che riduce le persone a mere risorse, proponendo un approccio umanistico alle organizzazioni che valorizizza l'unicità di ciascun lavoratore. Attraverso casi studio, ricerche e testimonianze, l'autore dimostra come le imprese possano diventare comunità generative, dove le persone esprimono pienamente il proprio potenziale. Il volume propone un nuovo paradigma di leadership basato sull'ascolto, la cura e la valorizzazione dei talenti individuali, superando la logica del mero profitto. L'obiettivo è trasformare il lavoro da attività meccanica a spazio di crescita umana, dove ciascuno può contribuire significativamente alla società.
D’altronde, le sfide che ci troviamo davanti sono prevalentemente adattive: nuove per tutti, con risposte che nascono dal confronto e dalle conversazioni di qualità all’interno di una comunità. Il motore dell’impresa non sono solo i talenti individuali, ma l’intera comunità che al suo interno vive e opera. La leadership diventa diffusa, combinando sfida e cura, basandosi sul senso di appartenenza. Stabilire e nutrire questo senso di comunità è fondamentale per le imprese, non solo per rispondere alle sfide correnti, ma per valorizzare l’intreccio di vite interdipendenti.

"Le organizzazioni devono riconoscere l'unicità e le potenzialità delle persone, valorizzandole non solo come risorse economiche ma come esseri umani in tensione, insieme, verso qualcosa di più grande”, continua Limone. “Evolvere significa per l'impresa unire una finalità economica a una sociale in un'ottica di sviluppo integrato della persona, ma anche dell'organizzazione rispetto alla società. Le aziende, e quindi la loro governance, devono riconoscere l'impatto e la responsabilità che hanno nella vita al loro interno e nella vita che trascende fuori: attraversano la società avendo sempre un impatto, e questa non ne è mai indifferente.

È incoraggiante la crescente consapevolezza e attenzione sulla sostenibilità ambientale. Non possiamo non dedicarne altrettanta a quella sociale. È encomiabile l'impegno per altre persone e comunità, all'interno della sostenibilità sociale. Non è comprensibile non prestare almeno altrettanta attenzione alla vita che pulsa dentro le aziende, alla vita delle persone che animano l'impresa giorno dopo giorno. La sostenibilità può partire solo dalle persone, ma alle persone dovrebbe anche tornare”.

Arricchito dalla prefazione di Stefano Zamagni, “Il lato umano dell’impresa: vivere la comunità dentro le organizzazioni” di Francesco Limone è disponibile in libreria con i contributi di Daniele Agiman, Lorenzo Bernardi, Luciana Delle Donne, Lorenzo Di Ciaccio, Nazzarena Franco, Darya Majidi, Gianmatteo Manghi, Angela Natale, Reno Ortolani, Erminio Perocco e Paola Protopapa.

 


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