Egea


 

In un nuovo saggio, il tecnologo Matt Beane ci rivela quali siano i pilastri su cui si fonda “Il Dna delle competenze” grazie al quale l’umanità ha prosperato fino a oggi, spiegandoci perché l’AI e alcune derive del digitale lo minaccino alla radice. E come sia possibile reagire. 


C’è stato un tempo in cui gli ingegneri progettisti senior facevano grande affidamento sui colleghi junior per le parti più semplici della progettazione di un microchip. Gli esperti aiutavano i novizi a preparare l’analisi preliminare e a esaminare il risultato, fornendo feedback lungo l’intero percorso; i giovani, dal canto loro, facevano domande per diventare più bravi. Oggi – in molte aziende – questo quadretto sta diventando un ricordo sbiadito: con l’adozione di strumenti di progettazione abilitati dall’intelligenza artificiale, gli ingegneri junior sono diventati semplicemente facoltativi. Ora sostituite i protagonisti della storia con due giornalisti, due avvocati, due chirurghi, portateli in una redazione, in uno studio legale, in una sala operatoria: ebbene, il risultato non cambierà. I prodigi dell’AI (e del digitale) ci regalano nuovi e mirabolanti poteri nel presente, ma rischiano di toglierceli nel futuro, andando a minare alla radice la capacità di sviluppare – e preservare – le nostre abilità. In un nuovo saggio, Matt Beane condivide il frutto di dieci anni di ricerche sul campo (e non solo) per comprendere come funzioni “Il Dna delle competenze” che ci ha permesso di crescere fino a oggi. E, soprattutto, come salvare l’abilità umana nell’era delle macchine intelligenti.

Qualunque sia il vostro lavoro, decenni di ricerche dimostrano che avete raggiunto la padronanza lavorando con qualcuno che ne sapeva più di voi. Ricercatore e tecnologo, docente presso il dipartimento di Technology Management dell’Università della California, Beane ha trascorso gli ultimi dieci anni a esaminare questo legame unico in una varietà di ambienti, dai magazzini alle sale operatorie. Ha scoperto che – proprio come i quattro aminoacidi sono gli elementi costitutivi del Dna – sfida, complessità e connessione sono le componenti fondamentali del modo in cui sviluppiamo le nostre abilità più preziose. 

Sfida: per apprendere efficacemente è necessario trovarsi di fronte a compiti che siano vicini ai propri limiti di capacità. Una sfida ottimale richiede concentrazione totale e permette piccoli fallimenti da cui riprendersi. Gli esperti dovrebbero guidare i principianti verso compiti leggermente al di sopra delle loro attuali capacità, fornendo un'impalcatura che sorregga l'apprendimento. L'obiettivo è mantenere un livello di difficoltà che stimoli la crescita senza scoraggiare, creando opportunità per mettere alla prova e migliorare progressivamente le proprie competenze.

Complessità: la complessità sana riguarda la capacità di comprendere il contesto più ampio del proprio lavoro, andando oltre i compiti specifici. Significa acquisire una visione sistemica che permetta di cogliere le interconnessioni e le dinamiche sottostanti. L'apprendimento avviene meglio quando ci si confronta con situazioni realistiche e mutevoli, piuttosto che in ambienti artificialmente semplificati. La complessità stimola la curiosità, spinge a esplorare ambiti limitrofi al proprio lavoro e consente di sviluppare una comprensione più profonda e articolata.

Connessione: la connessione sana si basa sulla costruzione di legami di fiducia e rispetto tra esperti e principianti. Non si tratta solo di trasferire conoscenze, ma di stabilire un rapporto umano significativo che soddisfi bisogni di autonomia, competenza e relazionalità. Gli esperti devono essere disposti a correre rischi affidando compiti ai novizi, che cercano di guadagnare credibilità con impegno e spirito di iniziativa. 

Le nuove tecnologie stanno erodendo la nostra capacità di sviluppo personale e relazionale. La facilità di accesso alle informazioni e l'immediatezza dei dispositivi digitali stanno riducendo la nostra soglia di attenzione e la capacità di affrontare sfide complesse. Quel che è peggio, stiamo compromettendo il legame tra esperti e principianti che resiste da 160.000 anni. Oggi le tecnologie intelligenti vengono utilizzate per ampliare le capacità dei professionisti, finendo per escludere i novizi dall'apprendimento sul campo. Un chirurgo robotico può operare quasi completamente da solo, un banchiere può analizzare dati tramite l’AI, un magazziniere viene affiancato da robot che riducono al minimo il suo coinvolgimento attivo. Questo processo non elimina semplicemente posti di lavoro, ma dequalifica le competenze, impedendo ai giovani di acquisire quelle abilità che si apprendono solo attraverso un'esposizione diretta e una guida esperta. La posta in gioco? Oggi le competenze personali, domani il patrimonio di conoscenze di una professione.


In pratica, abbiamo avviato una guerra tra la produttività tecnologica e l’abilità umana, e l’abilità la sta perdendo”.

Eppure – sebbene la ricerca del Graal della produttività sia sempre più frenetica – il nostro declino non è inevitabile. Beane propone una serie di strategie che consentano di coltivare l’abilità anche nell’era delle macchine. Alcuni esempi? Riallineare i ruoli lavorativi per riconnettere esperti e principianti, modificare i parametri di valutazione per premiare l'apprendimento, attingere al know-how della prima linea e limitare la sorveglianza eccessiva abilitata dalla tecnologia. E poi ci sono loro, gli “apprendenti ombra”: individui che nelle difficoltà trovano strade alternative – talvolta oltre i limiti delle regole – per sviluppare competenze. Non un punto di riferimento, insomma, ma un esempio da cui mutuare alcune strategie. 

Da buon tecnologo, Beane non perde la fiducia in una tecnologia che riesca a mettere in risalto le nostre abilità, invece di sgretolarle: da un caso di studio concreto come quello degli artificieri, che utilizzano un robot per addestrare i nuovi operatori in tutta sicurezza, fino alla creazione di “piattaforme chimeriche” che combinino intelligenza umana e artificiale per sviluppare nuove infrastrutture di apprendimento, preservando sfida, complessità e connessione in un mondo sempre più digitale.

Per quanto portentoso e assolutamente indispensabile possa apparire per la nostra abilità un futuro chimerico, l’unico modo in cui può diventare realtà è attraverso il nostro lavoro, le nostre relazioni e le nostre scelte”, scrive. “Nell’insistenza quotidiana sull’eccellenza che anima il legame collaborativo tra esperti e principianti. Nella sofferenza e negli sprechi che si creano quando indeboliamo questo legame per perseguire una produttività abilitata dalla tecnologia. Nell’ingegno e nella grinta dell’apprendimento ombra che crea abilità nonostante le barriere. Abilità che lasciano tracce salubri in ciascuna tappa successiva del viaggio, e a cui dobbiamo prestare la massima attenzione se vogliamo dare forma a un futuro migliore. Ma dovremo essere in molti a sposare la causa se non vogliamo che tutto ciò cada nel vuoto”.

 


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