Egea


 

Un viaggio rivoluzionario tra economia, ecologia e responsabilità collettiva: nel libro “Il capitale naturale”, Partha Dasgupta ci invita a cambiare sguardo e a riconoscere la Natura come il vero pilastro su cui si fondano il benessere umano e la prosperità delle società.


Viviamo in un’epoca in cui la crisi climatica, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi sono diventati temi centrali del dibattito pubblico e delle politiche globali. Eppure, troppo spesso la Natura viene ancora trattata come un bene gratuito, una risorsa infinita da sfruttare senza limiti. È come se, molto tempo fa, una squadra di calcio avesse iniziato una partita contando solo i gol segnati senza fare caso a quelli subiti, e secoli dopo alzasse lo sguardo verso il tabellone scoprendo di essere a un passo dalla sconfitta… Ebbene, quella squadra siamo noi. Nel libro “Il capitale naturale” (Egea, 2025), Partha Dasgupta propone una svolta radicale: per garantire un futuro sostenibile, dobbiamo imparare non solo a tenere in considerazione la Natura quando parliamo di economia, ma soprattutto dobbiamo iniziare a valutarla come il più importante tra i capitali che possediamo.
 
Docente a Cambridge e tra i più autorevoli economisti ambientali al mondo, Dasgupta parte da una constatazione semplice ma rivoluzionaria: la nostra economia è un sottosistema della Natura, non il contrario. Per troppo tempo, i modelli economici hanno ignorato i limiti biofisici del pianeta, misurando la crescita solo in termini di Pil e trascurando il valore dei servizi ecosistemici – dall’acqua pulita all’impollinazione, dalla fertilità dei suoli alla regolazione del clima – che rendono possibile la vita e la prosperità umana. Il risultato è un sistema che, pur crescendo nei numeri, erode le sue fondamenta naturali e mette a rischio il benessere delle generazioni future.
 
Il concetto di “capitale naturale” diventa così il cuore di una nuova visione: non solo risorse materiali, ma anche processi e servizi forniti dalla Natura (o, per usare un sinonimo più scientifico, dalla biosfera) che sostengono l’economia e la società. A differenza del capitale prodotto o di quello umano, il capitale naturale è spesso invisibile nei conti economici, ma è essenziale per la resilienza dei sistemi sociali e per la qualità della vita. Dasgupta mostra come la perdita di biodiversità, l’impoverimento dei suoli, la deforestazione e l’inquinamento non siano solo problemi ambientali, ma veri e propri fallimenti economici: stiamo consumando il capitale naturale a un ritmo superiore a quello della sua rigenerazione, compromettendo la capacità della Natura di sostenere la crescita e il benessere.
 
Questa erosione silenziosa del capitale naturale si traduce in crisi sociali e politiche: guerre, migrazioni forzate, crisi sanitarie e conflitti per le risorse hanno spesso alla loro radice la scarsità o il degrado degli ecosistemi. La tutela della biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse naturali non sono dunque un lusso per Paesi ricchi, ma una condizione imprescindibile per la pace, la sicurezza e la prosperità globale. Investire nella Natura significa investire nella resilienza delle società e nella capacità di affrontare le sfide del futuro.
 
Dasgupta invita così a superare la visione tradizionale della ricchezza, fondata solo sull’accumulazione di beni materiali, e a riconoscere che il vero progresso si misura nella capacità di mantenere e accrescere il capitale naturale. Il libro propone nuovi strumenti teorici e pratici per integrare la Natura nei conti economici: dalla “ricchezza inclusiva” – che tiene conto di capitale naturale, umano e prodotto – ai prezzi contabili dei servizi ecosistemici, fino a indicatori che misurano il benessere reale delle popolazioni. Pur utile, il Pil è un indicatore parziale e spesso fuorviante: può crescere anche mentre il capitale naturale si erode, lasciando in eredità un pianeta più povero e meno vivibile. Per questo, Dasgupta propone di adottare diversi criteri di valutazione delle politiche pubbliche e degli investimenti, che mettano al centro la sostenibilità e la giustizia intergenerazionale.
 
La gestione del capitale naturale, sottolinea Dasgupta, richiede un approccio integrato e multilivello: dalle decisioni globali – come gli accordi sul clima e sulla biodiversità – alle scelte locali di gestione delle risorse, passando per la responsabilità delle imprese e dei cittadini. Le soluzioni non sono semplici, ma il libro offre una panoramica di strumenti e strategie: pagamenti per i servizi ecosistemici, governance partecipata, incentivi per la conservazione, innovazione tecnologica e cambiamento culturale. La sostenibilità non si costruisce solo con regole e prezzi, ma anche con la capacità delle comunità di cooperare, di condividere valori e di prendersi cura dei beni comuni. Per questo, “Il capitale naturale” non è solo un saggio economico, ma un appello alla responsabilità collettiva. Dasgupta invita a ripensare il nostro rapporto con la Natura non come una relazione di dominio, ma di interdipendenza. La sfida, quindi, è costruire una nuova cultura della sostenibilità, capace di vedere nella Natura non un ostacolo, ma la condizione stessa della libertà, della giustizia e della prosperità.
 
L’assenza della Natura dalla riflessione economica corrente evidenzia un paradosso”, scrive Dasgupta. I commentatori economici chiedono giustamente che le politiche pubbliche siano basate su prove, e sanno che le evidenze raccolte saranno inutilizzabili se costruite su una concezione ingannevole della condizione umana, perché modelli mal congegnati producono evidenze false. Ma essi dovrebbero anche sapere che i sistemi di pensiero che non riconoscono che l’umanità è integrata nella Natura, quando usati per proiettare possibilità presenti e future, possono essere fuorvianti.
 
Le scoperte degli ecologi e degli scienziati della Terra hanno dimostrato che questi sistemi di pensiero possono essere così fuorvianti che le politiche basate su di essi non solo mettono in pericolo le generazioni future, ma danneggiano anche le vite dei poveri del mondo contemporaneo. La letteratura enormemente vasta e influente in materia di economia della crescita e dello sviluppo e in materia di economia della povertà resta carente da questo punto di vista. Appare come un elaborato esercizio di solipsismo collettivo. Questo libro è un tentativo di porvi rimedio.


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