Egea
Riglobalizzazione

Dall'interdipendenza tra Paesi a nuove coalizioni economiche, ma solo “tra amici fidati”. Il nuovo saggio di Gianmarco Ottaviano cerca di capire se l’ordine mondiale che si prospetta all’orizzonte vedrà davvero la contrapposizione tra due grandi aree di influenza: Usa e Cina
 

Un nuovo ordine mondiale si prospetta all’orizzonte. E sembra proprio che la globalizzazione non sarà più la stessa. Negli ultimi anni, gli sforzi di molti Paesi si sono indirizzati verso la creazione di alternative all’economia globale integrata sviluppatasi a partire dalla Seconda guerra mondiale. Un processo che ha conosciuto un’ulteriore accelerazione in seguito alla guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni economiche inflitte alla Russia da parte della comunità internazionale. Secondo Gianmarco Ottaviano, tuttavia, l’esito più probabile della trasformazione in corso non sarà però la deglobalizzazione tanto temuta (o auspicata) da molti commentatori, quanto la “Riglobalizzazione” che dà il titolo al suo nuovo saggio edito da Egea. In cui il professore di Economia politica all’Università Bocconi riflette sul futuro prossimo dell’economia internazionale, sulle conseguenze che le nuove logiche multilaterali sortiranno sulla sicurezza planetaria e sul nuovo ordine mondiale che si va configurando.
Dall’inizio del millennio l’economia globale è entrata in acque molto agitate: attentato alle Torri gemelle, guerre in Afghanistan e Iraq, crisi della finanza americana e del debito pubblico europeo, primavera araba e guerra in Siria, guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, disuguaglianze crescenti e pressioni migratorie, emergenze alimentari e un cambiamento climatico sempre più evidente, fino ad arrivare alla pandemia di Covid-19 e al conflitto militare tra Russia e Ucraina, con il conseguente ritorno dello spettro della minaccia nucleare.
Questi eventi e le reazioni da essi scatenate hanno messo in evidenza la diversità dei punti di vista nazionali e la difficoltà a convergere su iniziative comuni. Se da un lato la globalizzazione ha creato un grande mercato integrato in cui poter sfruttare al meglio i vantaggi comparati dei vari Paesi e le economie di scala dei processi produttivi, dall’altro ha unito i destini di nazioni con storie, culture, istituzioni, tradizioni e sensibilità in alcuni casi molto diversi tra loro. E i nodi, ora, stanno venendo al pettine.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha sollevato, una volta per tutte, una domanda fondamentale e scomoda per i sostenitori della globalizzazione dura e pura: è prudente che società democratiche, le cui economie sono fondate sul capitalismo di mercato, mantengano normali relazioni economiche con società autocratiche, le cui economie sono invece fondate sul capitalismo di Stato, quando queste società autocratiche diventano tanto più aggressive quanto più si arricchiscono proprio grazie a quelle relazioni economiche?
Alle tensioni degli ultimi anni, i Paesi hanno risposto muovendosi perlopiù in due direzioni. La prima è quella del ritorno ai nazionalismi. Un approccio che, tuttavia, non è in grado di gestire l’accumularsi di emergenze globali che ci troviamo ad affrontare. Ecco allora la seconda direzione di sfogo delle tensioni politiche, quella che abbiamo sotto gli occhi in questo momento: Paesi che, avendo capito di non potercela fare da soli, cercano di selezionare le proprie alleanze in base ad affinità elettive di natura economica e politica. Di fronte ai limiti del nazionalismo, insomma, cercano una «riglobalizzazione selettiva»: globalizzazione sì, quindi, ma solo tra amici fidati.
L’idea sottostante è che un Paese possa garantirsi un futuro radioso solo se in pieno controllo della propria sicurezza nazionale anche sotto il profilo economico”, spiega Ottaviano. “Poniamo però che la riglobalizzazione selettiva in corso possa essere sostenibile dal punto di vista delle affinità elettive e che le tendenze in atto trovino conferma, portando i Paesi a dividersi in due principali sfere di influenza, americana e cinese, in competizione tra loro per l’egemonia planetaria. Ci ritroveremmo un mondo più sicuro di quello in cui attualmente viviamo? C’è da dubitarne. Da un punto di vista politico si tratterebbe di una riedizione della «matta» dottrina della «distruzione reciprocamente assicurata», in un’era però in cui la potenza devastatrice delle armi di distruzione di massa e il numero di Paesi che le possono usare sono cresciuti fortemente rispetto ai tempi della Guerra fredda. Da un punto di vista economico, poi, i fattori produttivi resterebbero comunque suddivisi tra i Paesi in modo ineguale e la tentazione di sottrarli con la forza agli altri resterebbe una minaccia costante alla sicurezza di tutti”.
Nonostante il processo di trasfomazione in atto, insomma, secondo Ottaviano “solo l’approccio multilaterale nato dalle ceneri della Seconda guerra mondiale può cementare la sicurezza di tutti i Paesi nella fiducia e nel rispetto reciproci, riflettendone le esigenze in modo inclusivo. Non esistono soluzioni locali a problemi globali. Non esiste sicurezza nazionale senza sicurezza internazionale”.



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